(Adnkronos) – "Volendo dare del colon una corretta descrizione, potremmo definirlo come una delle due porzioni – la più lunga – dell’intestino crasso il quale, dopo il colon, si continua nella sua seconda ed ultima porzione rappresentata dal retto. In basso, nel tratto discendente collocato alla sinistra dell’addome, il colon descrive una specie di 'S', area non a caso chiamata sigma nella quale le feci ristagnano prima di essere spinte all’esterno con l’evacuazione. Per tale ragione, il sigma è da considerarsi come il punto dell’intestino in cui più alta è la pressione, destinata ulteriormente ad aumentare con l’atto evacuativo e tanto più in caso di stipsi cronica e ostinata. E’ proprio il sigma il tratto dell’intestino in cui, nella maggior parte dei casi, si formano i diverticoli, formazioni saccate a fondo cieco, simili a palloncini di dimensioni variabili da pochi millimetri ad alcuni centimetri che, partendo dalla superficie interna della parete intestinale, ne attraversano lo strato muscolare, per emergere verso l’esterno". A questa, che può essere considerata una delle più frequenti conseguenze dei processi di invecchiamento del colon, è dedicata la puntata di questa settimana di 'τροφήν, la prima Medicina' la rubrica condotta dall’immunologo
Mauro Minelli della Fondazione per la Medicina Personalizzata, incentrata sulla descrizione delle tante malattie dell’uomo correlate all’alimentazione. "D’altro canto, che il cibo abbia con la formazione dei diverticoli un rapporto stretto, lo dimostrano i dati epidemiologici che rivelano come tale patologia, assai diffusa nel nostro Paese e nel mondo occidentale – ricorda Minelli – risulti essere decisamente poco prevalente nella popolazione africana, verosimilmente in ragione di differenze anatomiche ma, più probabilmente, in relazione ad abitudini alimentare del tutto differenti tra gli abitanti dei diversi continenti".  
Ma quali sono gli alimenti che, più di altri, possono favorire la formazione dei diverticoli? E se è vero che nell’occidente tale patologia è diventata quasi endemica, perché in alcuni casi – tra i quali spicca quello di Papa Francesco – le sue conseguenze possono rivelarsi particolarmente problematiche al punto da richiedere il ricorso alle pratiche chirurgiche? "Per quel che riguarda le cause della malattia diverticolare, al di là di una pure ipotizzata predisposizione genetica, una delle ipotesi più accreditate fa riferimento ad una dieta povera di fibre che, favorendo lo sviluppo di stipsi, porta ad un aumento della pressione all’interno dei tratti terminali del colon – risponde Minelli – Consegue a tutto ciò una forte tensione sulle pareti intestinali con successiva estroflessione delle stesse in sacche diverticolari che tendono a generarsi soprattutto nelle zone di minore resistenza della parete colica, generalmente quelle nelle quali convegono i vasi sanguigni. Modificazioni strutturali del tessuto connettivo fisiologicamente legate all’invecchiamento, renderanno meno elastica la parete colica che, anche in ragione di progressive degenerazioni neuronali sempre legate all’età, non potrà più contare su contrazioni peristaltiche efficaci, così determinando anomalie dell’attività propulsiva. Potrà allora – prosegue – essere il ristagno prolungato di materiale fecale a promuovere il passaggio da una diverticolosi, condizione caratterizzata dal semplice riscontro anche casuale e del tutto asintomatico di diverticoli, ad una diverticolite da intendersi come quadro infiammatorio più frequentemente innescato da processi disbiotici correlati alla stasi fecale e che potranno, a loro volta, portare alla distensione del diverticolo. Sarà una possibile microperforazione di quest’ultimo a favorire la traslocazione batterica con diffusione del processo infiammatorio fuori dal colon e alla conseguente insorgenza di complicanze anche gravi come la peritonite".  "Importanti sono, nella gestione di tale patologia, le indicazioni alimentari che dovranno essere primariamente finalizzare a rendere più morbido il materiale in transito, al fine di limitare la pressione che potrebbe generarsi all’interno del canale intestinale. Sicché – osserva l'immunologo – nella profilazione di un regime dietetico da destinare a pazienti nei quali sia stata accertata la presenza dei diverticoli sarà sempre il caso di escludere frutta e verdura con semini come kiwi, pomodori, frutti di bosco, fichi d’india, ma anche verdure con fibre molto dure e filamentose quali finocchi, carciofi e fagiolini. Analoghe limitazioni andranno riservate ad alimenti speziati come pepe, peperoncino, curry, cannella; ma anche il cacao, gli insaccati e le carni elaborate non fanno bene a questi pazienti in quanto capaci di selezionare contingenti batterici infiammatori. Disco rosso pure per bevande ricche di zuccheri o gassate, alcolici vari, cibi che contengono lattosio, maionese o panna montata, cioè alimenti capaci di generare gas intestinali e, dunque, meteorismo. È di gran lunga preferibile la pasta ai cereali in chicchi tipo riso, quinoa, grano saraceno e, dei legumi, sarà molto meglio consumare i frullati o le passate. Si al tè e al caffe, ma solo se deprivati dei rispettivi alcaloidi teobromina e caffeina. In quanto alle verdure, possibile è l’ingestione di radicchio e carote cotti, zucchine, patate lessate ovvero centrifugati di verdura utili anche per apporto di inulina in grado di svolgere, a sua volta, un’importante azione 'pre-biotica' a supporto di popolazioni batteriche 'amiche' nell’ecosistema intestinale. Proprio quest’ultimo, a seguito delle reiterate terapie antibiotiche oltre che del prolungato stress infiammatorio connesso all’originaria malattia diverticolare, avrebbe bisogno di un’attenzione particolare per un ripristino che sia rigorosamente personalizzato".  "In linea di massima, nelle diverticolosi croniche si riscontra un deciso incremento di famiglie batteriche infiammatorie tra le quali quelle dei ‘bacteroidetes’ e dei ‘proteobatteri’ (che include, ad esempio, l’escherichia coli), con una contestuale drastica riduzione dei batteri 'amici' (lattobacili, bifidobatteri). Una supplementazione probiotica adeguata ed auspicabilmente personalizzata con l’aggiunta di una dieta corretta che sia capace di influenzare positivamente l’ecosistema intestinale alterato da una infiammazione cronica e da una terapia antibiotica talvolta inutilmente aggressiva, s’impone molto più di qualunque altro farmaco per ristabilire l’equilibrio perduto", conclude Minelli "https://www.ultimora.eu/wp-content/uploads/2023/12/MINELLI_PUNTATA5.mp4"—altrowebinfo@adnkronos.com (Web Info)

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